Un giorno ti svegli e non hai più niente. Tutto quello che avevi ottenuto con i sacrifici di una vita diventa proprietà della banca. Disperazione e notti insonni, non ti rimane altro, nemmeno l’età per ricominciare. Ti prendono tutto, anche quello che in realtà non gli è dovuto. Molte persone credono di essere debitrici nei confronti della banca mentre in realtà sono creditrici. Mi auguro che questo libro possa aiutarle ad avere giustizia, così che il «non dovuto» che gli è stato sottratto venga loro restituito.
Questa è la mia storia. La storia di un imprenditore del Nordest a cui le banche hanno rovinato prima il lavoro e poi la vita. O meglio, ci hanno provato, perché la guerra che loro mi hanno dichiarato alla fine l’ho vinta io. Battaglia dopo battaglia sono riuscito a sconfiggere il cancro che
divora le imprese italiane.
Dal 2008 a oggi ho combattuto da solo contro cinque istituti di credito che soltanto a sentirne il nome ti spaventi. Ma sono giganti di argilla, con evidenti punti deboli, pronti a piegarsi di fronte all’ultimo dei correntisti. La sesta banca ha preferito chiudere in fretta il contenzioso senza andare davanti al giudice. Ha capito l’antifona e si è sbrigata a trovare un accordo che mi facesse stare buono. Uno dei dirigenti mi ha cercato e mi ha invitato a parlarne, mi ha detto di non volere lo scontro. Mi ha pregato, addirittura, di mettere una mano sulla coscienza, vista la scarsa liquidità a loro disposizione. «Se avete bisogno di soldi, vendete gli immobili di proprietà…» gli ho risposto. E lui: «Signor Bortoletto, l’abbiamo già fatto…», con un’espressione da cane bastonato. Alla fine ho accettato la loro offerta, una pratica in meno da portare avanti.
Sebbene solo tra le mura di un ufficio e non davanti a un giudice, anche loro hanno ammesso il torto e questo mi basta: naturalmente mi sono ripreso i soldi che nel corso degli anni mi avevano fregato. Chissà quante volte quel dirigente si sarà trovato dall’altra parte, con un cliente che lo implorava di pazientare ancora un po’ per il rientro o che chiedeva invano un credito per salvare la sua azienda. In quei casi il funzionario diventa un mastino, affronta il correntista fino a sfiancarlo, lasciandolo a terra senza forze. Probabilmente è il ruolo che gli riesce meglio, quello in cui si sente più a suo agio.
Negli ultimi anni ho avviato personalmente, otto cause, ho ottenuto sei vittorie con relativi risarcimenti e ho una buona probabilità di spuntarla su tutte le altre. Ma non mi fermo, ho ancora molte battaglie da combattere. Ho già pronta la documentazione che dimostra come anche altri istituti di credito mi abbiano truffato applicando tassi a usura sui miei conti correnti: oltre trent’anni di lavoro significano tantissimi prestiti, mutui, leasing. Il marcio c’è ovunque e più spulcio tra i miei conti più trovo gli inganni. In tanti mi chiedono come abbia fatto. Mi scrivono per conoscere il mio segreto. Non c’è nessun segreto, nessun antidoto magico, solo qualche accortezza e tanta caparbietà. Sono testardo come un mulo, nulla di diverso da molti altri imprenditori italiani. D’altronde quello dell’imprenditore è un mestiere pieno di rischi, dove è necessario osare, credere fino in fondo in ciò che si vuole. Soprattutto, bisogna vederci chiaro. Questo stesso atteggiamento è importante averlo con le banche, che fanno solo i propri interessi e non, come recitano molti spot pubblicitari, quelli del correntista.
Mi torna spesso in mente una frase di Giulio Andreotti: «A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca». È proprio così. L’ho capito dopo aver preso delle fregature colossali. Anni fa, mai avrei avuto il minimo dubbio sul corretto comportamento delle banche con cui avevo a che fare. Erano i miei angeli custodi. Oggi mi sono accorto che sono lupi travestiti da agnelli. Ho scritto questo libro perché vorrei che la mia storia diventasse la storia di tanti cittadini italiani, di quelli che faticano ad arrivare alla fine del mese, quelli che hanno perso il lavoro e forse anche la casa, gli imprenditori o i commercianti che sono stati costretti a chiudere le loro attività, i giovani precari che non possono chiedere nemmeno un mutuo per costruirsi una vera vita indipendente, una famiglia con dei figli. La mia generazione ce l’ha fatta perché è cresciuta in un mondo in cui lavorare era ancora un diritto e una possibilità concreta mentre per i giovani di oggi questa possibilità si è trasformata in una chimera.